La lingua romagnola

Le origini della lingua romagnola

Il toponimo Romagna deriva dal tardo latino Románia (e in greco bizantino Ῥωμανία, Rhōmanía) e risale al VI secolo d.C., quando l’Italia fu divisa tra aree soggette o ai Longobardi o all’Impero Romano d’Oriente. Alla lingua romagnola va geneticamente riconosciuta pari dignità con l’italiano, poiché questa si è sviluppata a partire dal latino. Gran parte del lessico romagnolo deriva infatti dalla lingua parlata degli antichi romani e grecismi, gallicismi, germanismi sono giunti al romagnolo attraverso la loro forma latinizzata.
Ciò che distingue il romagnolo rispetto alle altre lingue volgari dell’Italia settentrionale è un insieme di fattori storici, geografici e culturali tra cui il retaggio greco-bizantino dei secoli VI, VII e VIII, l’influenza delle lingue germaniche in seguito all’invasione (nota è l’influenza dell’Ostrogoto) e la permanenza di un substrato celtico tipico delle parlate a nord dell’Appennino.

La geografia

La Romagna è una regione storica, geografica e linguistica dell’Italia settentrionale. Dal punto di vista geografico, appartengono alla Romagna, oltre alle tre province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, anche parte della città di Bologna ed alcune aree della provincia di Pesaro e Urbino (nelle Marche), parte della città Firenze e alcuni territori della provincia di Arezzo con la Repubblica di San Marino.

Il romagnolo tra letteratura e tradizione orale

La prima attestazione di un’opera letteraria è il “sonetto romagnolo” di Bernardino Catti, di Ravenna, stampato nel 1502 e scritta in un italiano misto a romagnolo. Ci fu poi l’opera di Piero Francesco da Faenza, un testo teatrale che imita l’Orfeo di Poliziano, ma ha come protagonista il tipico contadino rozzo, che parla un dialetto faentino colmo di volgarità che si contrappone al linguaggio aulico degli altri personaggi.

La Romagna contadina ha anche una ricca tradizione di “cante” e “stornelli”, che da secoli si sono tramandati oralmente di padre in figlio. Mentre gli “stornelli” (in romagnolo al sturnèli è al femminile) potevano essere cantati da una singola persona, le “cante” erano a più voci. Venivano eseguite, per esempio, a fine trebbiatura, quando tutti si radunavano nell’aia. Un’altra tradizione legata all’attività agricola erano le “maggiolate”, l’intonazione di canti propiziatori che si eseguiva tra fine aprile ed inizio maggio (da cui il nome cantamaggio) come augurio per una buona annata agricola. Esistevano gruppi organizzati, forniti di fisarmonica e violino (o chitarra), che si recavano di podere in podere per “annunciare” ai contadini l’arrivo della bella stagione. Aldo Spallicci narrò questa festa con la celebre poesia La majê.
Esistono sul territorio diverse corali che mantengono viva la tradizione musicale romagnola: esse sono tutte denominate “canterini romagnoli”. Nel 1922 Martuzzi e Francesco Balilla Pratella fondarono la Camerata dei Canterini Romagnoli a Lugo; nel 1927 fu la volta dei Canterini romagnoli di Imola. Negli anni tra le due guerre, cori simili vennero fondati in tutte le città della Romagna; i migliori brani del repertorio, veri capolavori, sono conosciuti anche al di là del confine regionale.